Cosa accade a chi perde la vista e come ci si abitua a una condizione nuova? Il racconto dell’”equilibrista” Marco Marcon, paziente del Polo Nazionale Ipovisione 

Nel suo racconto si definisce “un equilibrista”. Ci può raccontare di come la sua vita sia cambiata? 

Ho vissuto nei mitici anni ‘60, in una zona di periferia dove si giocava a pallone nei prati, le sere d'estate c'erano le lucciole e la strada diventava per noi bambini un parco giochi meraviglioso. Era la mattina di Pasqua, quando mi sono svegliato e non vedevo più nulla virgola, non riuscivo a capire neanche dove fosse il giornalino di Topolino Che tanto volevo leggere. Sono stati momenti difficili, Soprattutto perché avevo solo 5 anni quando è cominciata la mia vita al buio, o quasi. Dopo sei mesi di totale oscurità, intravidi un'ombra ma il mio campo visivo era diventato minuscolo e attualmente è il 2% rispetto a quello normale. Come tutti nella vita, le mie scelte e le mie aspirazioni hanno dovuto fare i conti con il periodo storico, il luogo di provenienza e la famiglia, ma anche e soprattutto con la mia vista. Ho imparato a vivere guardando il mondo attraverso un buco della serratura, come un equilibrista che cammina su un filo. Non nascondo che all'inizio è stata dura, sono caduto innumerevoli volte, perso tre denti, tante sbucciature sulle ginocchia, due piedi rotti, ma non ho mai mollato. Ho imparato a gestire i miei limiti e a non essere giudicato per questo. 

Si tende a pensare e alla cecità come un elemento centrale nella vita di chi ne è affetto. Esistono diverse modalità di adattamento quando insorge una malattia: il soggetto che si adegua alla sua condizione o la patologia che si adegua alla vita del paziente. Lei come ha agito nel suo percorso di crescita? 

avere delle limitazioni visive indubbiamente è un problema, ma questo diventa enorme se invece di adattarsi alla propria condizione ci si focalizza solo su quello che “avrei potuto fare” piuttosto che su “quello che posso fare lo stesso”. nel mio caso, il primo passo è stato accettare il mio nuovo modo di vedere per poi viverlo con consapevolezza nei suoi limiti, così non mi ha condizionato più di tanto. Dopo una prima fase di accettazione e adattamento mi sono adeguato la malattia considerandola semplicemente come una mia caratteristica. ogni giorno, ogni ora, ogni minuto i miei limiti fanno parte di me e per questo per affrontarli al meglio li devo accettare virgola non li considero come un problema, solo come un qualcosa di mio con cui devo convivere senza scelta. Naturalmente i problemi ci sono e li ho vissuti in modo diverso in relazione anche all'età: un bambino ha pensieri e problemi diversi da quelli di un'adolescente, questi li ha diversi da un uomo adulto e poi da un anziano. Ogni età ti pone davanti a un pezzetto di vita diverso degli altri e quello che è importante da bambino, poi diventa superfluo più avanti punto per dare un'idea: da bambino la vista mi impediva di fare qualche gioco, da grande di guidare. 

Come la percepiscono gli altri? Quali sono i comportamenti esterni in cui incorre maggiormente? 

Gli altri mi percepiscono semplicemente per come mi presento, allegro nel momento in cui lo sono, triste quando mi capita; in realtà non me ne preoccupo troppo. Con qualcuno mi apro più facilmente rispetto ad altri, ma io rimango lo stesso, indipendentemente da come vengo percepito. Naturalmente ci sono persone sensibili in grado di capirti, darti coraggio, amicizia e amore, altre, invece, che meglio evitare. ma questo può capitare a tutti. In ogni caso, non sono solito parlare dei miei limiti per lamentarmi e per ottenere maggiore attenzione dalle persone che mi circondano; se mi racconto è solo per consentire a chi mi sta vicino di capire meglio le mie caratteristiche. 

Come mai ha cominciato un percorso di riabilitazione visiva? Cosa le ha donato? 

il percorso di riabilitazione visiva, nel mio caso, è iniziato nel momento stesso in cui mi sono ammalato e completamente da autodidatta. Il capire come vivere meglio non mi è sembrata una scelta, ma solo una necessità. Momento per momento, mi sono allenato virgola e mi alleno ancora, per essere libero e sfrutto tutti i miei sensi, così facendo ho acquisito una certa autonomia. Possiamo dire che essendo costretto a camminare sopra un filo appeso tra due gancetti, mi sono allenato così tanto da diventare un'eccellente equilibrista che si muove con la naturalezza e senza paura del vuoto appunto il mio percorso presso il Polo Nazionale Ipovisione mi ha permesso di conoscere meglio la mia patologia e la condizione che ne deriva. Ho sicuramente affinato le mie tecniche di autonomia. Ma non tutto dipende da noi: anche se riesco a muovermi con una certa naturalezza virgola non posso farlo al meglio se gli altri non prestano attenzione ai problemi di chi non vede o ci vede poco. in tal senso sarebbe utile, oltre che aiutare le persone a seguire un percorso di riabilitazione, cercare di educare tutti a rispettare i limiti degli altri: progettare case o edifici che siano accessibili, un parco senza barriere architettoniche o anche solo un bar o un negozio. del semplice rispetto che può trovarsi in piccoli gesti, come magari il non parcheggiare sul marciapiede così che io e tutti gli altri che loro malgrado “vedono attraverso il buco di una serratura” possano camminare senza trovare ostacoli.  

(da oftalmologia sociale, aprile-giugno 2023)